sábado, 23 de julho de 2011

Um excerto de Cesare Pavese


Alle volte penso che se avessi avuto il coraggio di salire fino in cima alla collina, non sarei poi scappato di casa. La notte di S. Giovanni doveva esser passata da poco, perché già diverse volte ci eravamo messi per la strada del vallone e salivamo fino ai nocciòli a cercare il letto dei falò. Sapevamo che in cima ce n'erano di larghi come un prato. Ma un giorno Gosto si vantò che da ragazzo suo nonno era scappato di casa e andando per il vallone era salito cosí in alto che di lassù vedeva il mare. Noi il vallone ci portava dentro una vigna quasi piana, chiusa intorno dai cárpini. Che cosa facessimo là fino a sera, non so. Guardavamo le punte degli alberi. Io dicevo a Gosto che al mare non accendono faló, perché il mare è pianura, e disteso sull'erba mi annoiavo a guardare le nuvole. C'erano anche dei grilli in quella vigna, e avrei voluto essere uno di loro per restarci la notte e trovarmici al mattino con la prima luce quando il sole è ancora freddo. Il sole da noi spunta dietro le colline basse, dove il nonno di Gosto aveva visto da ragazzo il mare. Che il mare fosse da quella parte, l'avevo detto io a Gosto. I giorni di temporale; era là che si apriva lo slargo e il sole tornava a battere come sopra un gran campo di fiori, mentre da noi sgocciolava ancora. Io il mare l'ho sempre immaginato come un cielo sereno visto dietro dell'acqua. Lo stradone che scende verso quelle colline non è una strada di campagna; porta fuori della valle, in una pianura che scende sempre, che ha degli alberi che sembrano giardini. Già alla svolta, dopo lo sbocco nel vallone, dopo il ponte di ferro, c'è la casetta della Piana che ha un balcone di gerani. Laggiù non ci sono più vigne né boschi né stalle; di carretti tirati dai buoi non ne salgono di là; salgono invece i biroccini a tutta corsa e comitive coi parasoli. Tutta la notte di S. Giovanni, Gosto era stato in giro per il paese e io non avevo potuto andarci, perché in casa nostra a godere i fuochi si sta sul terrazzo. Gosto mi aspettava sotto, nella strada, e ci mostrammo gridando i falò più lontani e i più grossi. Ma poi passò la musica che andava in paese - c'erano tutti, anche Candido - e io mi attaccavo alle sbarre e li chiamavo; Candido si fermò a salutare le mie sorelle e scherzare; poi si misero in fila suonando, e Gosto con loro, e se ne andarono in piazza e per tutta la notte si sentì il clarinetto di Candido e tromboni e chitarre e cantare a gran voce, specialmente le donne. Noi andammo a dormire che gli ultimi falò si spegnevano sulle colline nere, e nel letto piangevo dalla rabbia, ma le voci sparse degli ubriachi e dei cani mi fecero pensare alla mia vigna del vallone e ai biroccini e alle colline che l'indomani avrei rivisto a volontà. Invece l'indomani non andammo oltre i nocciòli, e a Gosto sua nonna mi portava come esempio. Gosto rideva. In casa mia mi dicevano di prendere esempio da lui che, solo al mondo con la nonna, rappresentava tutta quanta la famiglia. Non servì raccontare adesso le cose che avevamo fatto in collegio a Alba. Non mi credevano. Dicevano e dicono che Gosto è più uomo di me. In casa mia non sanno i discorsi che fa. Intanto, l'idea del mare venne a me, non a lui. Gosto non sa che cosa sia mettersi davanti una casa, e guardarla fin che non sembra più una casa. Gosto è tanto libero di sé che fa tutto quel che gli dicono, ma lui solo non ci arriva. Ancora adesso non vuol credere quando gli spiego che lo stradone non ha fine, come non han fine le strade ferrate, e di paese in paese gira fin che c'è terra senza mai interrompersi. Dice che, se fosse così, la gente non smetterebbe di camminare e tutti girerebbero il mondo. E sul nostro stradone sarebbe un viavai di stranieri d'ogni paese. «Tutte le strade finiscono al mare», gli dicevo, «dove ci sono i porti. Di là ci s'imbarca e si va nelle isole, dove gli stradoni riprendono.» Non era convinto che per andare verso il mare bastasse incamminarsi. «Bisogna sapere la strada», diceva. «Ma la strada si sa. Prendi verso la Piana.» «Sarà lontano?»«Se dalle Ca' Rosse tuo nonno l'ha visto.» «Quanti anni sono che l'ha visto?» Un giorno andammo nella bottega del carradore che ci prendeva in giro perché non sappiamo andare scalzi. Io mi fermai sull'uscio e non vidi quasi niente nel buio dei fornelli, ma sentivo picchiare sul ferro e Pietro mi chiese se andavo anch'io a scuola con Gosto. E ci disse che alla nostra età lui aveva già attraversato le montagne per andare a lovorare e che cosa sapevamo fare noi? Allora mi accorsi che non sapevamo fare niente. In quel momento Pietro aveva smesso di picchiare, e Gosto diceva: «Siamo nati con le scarpe, noialtri». «Cosi è», disse Pietro senz'arrabbiarsi. «Siete nati con le scarpe.» Ci pensai molto alle parrole di Pietro, e il giorno dopo passamo dalla bottega per ritornare sul discorso. Pietro non si era mosso dal fornello e ci disse di non parargli la luce. Quel giorno ci raccontò che da ragazzo aveva fatto il magnano e viaggiavano lui e un padrone cercando lavoro nei cortili e portandosi dietro i fornelli e il carbone. Per passare le montagne avevano dovuto mettere le scarpe di corda. Poi avevano lavorato nelle miniere di carbone, così lontano che per tornare c'era voluto il treno. Raccontando si fece sulla porta e guardò in piazza. «E il mare, Pietro, non l'hai veduto?» gli disse Gosto. Allora ci disse che era stato a Marsiglia e che là il mare l'aveva davanti alla porta. Guardò la piazza dove cadeva l'ombra della casa e disse: «Come fosse qui in piazza. E movimento giorno e notte. Più che il mercato grosso». Sputò nel sole e tornò dentro. Gli chiedemmo com'è fatta la riva del mare, ma non sapeva o non capì quello che noi volevamo. Disse che, sì, l'acqua è verde e sempre mossa e che fa continuamente le schiume, ma dentro non c'era mai stato e non sapeva come sia la terra veduta dal largo. Ci raccontò che i bastimenti hanno un colore tra rosso e nero e che nel porto c'è un odore come nelle stazioni. Disse che carica e scarica più carbone un porto in un giorno che non carri d'uva tutte le nostre colline. E i marinai, anche stranieri, sono vestiti come noi e non hanno altra idea che tornarsene a casa. «Costa fatica il mare», diceva. «Bisogna nascerci scalzi.» Venne il mese d'agosto, tra i primi e i secondi raccolti, quando in campagna non si fa più niente e la giornata dura ancora metà della notte. Succedeva che andassi a letto quando fuori era sera e sentivo nello stradone sotto il terrazzo ridere gli altri e la gente passare. Per qualunque sciocchezza mi mandavano a letto. Se Gosto veniva a cercarmi, gli dicevano ch'era tardi e che dormivo da un pezzo. in Feria d'agosto



Por vezes penso que se tivesse tido a coragem de subir até ao cume da colina, não teria depois fugido de casa. A noite de S. João devia ter passado á pouco, uma vez que já por diversas vezes tinhamos seguido a estrada do vale e subido até às nogueiras para procurar o leito das fogueiras. Sabíamos que no alto os havia grandes como prados. Mas um dia Gosto gabou-se que em rapaz o seu avô tinha escapado de casa e passado pelo vale e tinha subido tão em alto que de lá em cima se via o mar.
A nós o vale levava-nos a um vinhedo quase plano, cercada por choupos. Que coisa lá fazíamos até à noite, não o sei. Olháva-mos para a ponta das árvores. Eu dizia a Gosto que no mar nunca acendem fogueiras, porque o mar é plano, e deitado na erva aborrecia-me a olhar para as núvens. Havia também grilos naquela vinha, e teria querido ser um deles para aí ficar à noite e aí me encontrar de manhã com as primeiras luzes, quando o sol é ainda frio. O sol nasce para nós por detrás das colinas baixas, lá onde o avô do Gosto tinha visto em rapaz o mar.
Que o mar fosse daquela parte, tinha-o dito ao Gosto. Nos dias de tempestade, era lá que clareava e que o sol voltava a bater como sobre um grande campo de flores, enquanto das nossas partes gotejava ainda. Eu ao mar imaginei-o sempre como um céu sereno visto por detrás da água. O estradão que desce para aquelas colinas não é uma estrada de campo; conduz para fora do vale, para uma planície que desce sempre, que tem árvores que parecem jardins. Logo na curva, depois de desembocar no vale, depois da ponte de ferro, está a casinha da Piana que tem uma varanda com gerânios. Alí não há vinhas nem bosques nem estábulos; os carros de bois não sobem por aí; sobem ao invés velozmente as carroças e comitivas com guarda-sóis.
Durante toda a noite de S. João, Gosto tinha passeado pelo povoado e eu não tinha podido irporque em nossa casa os fogos veem-se do terraço. Gosto esperava-me em baixo, na estrada, e mostrávamos um ao outro gritando as fogueiras mais longínquas e as maiores. Mas depois passou a banda que ia para a aldeia - lá estavam todos, até o Cândido - e ie eu agarrava-me às grades e chamava-os; Cândido parou para cumprimentar as minhas irmãs e rir; depois retomaram a fila tocando, e com eles Gosto, e lá foram para a praça e por toda a noite se ouviu o clarinete de Cândido e trombones e guitarras e cantar em voz alta, especialmente as mulheres. Nós fomos dormir que já as últimas fogueiras se extinguiam nas colinas negras, chorava de raiva na cama, mas as vozes difusas dos bêbedos e dos cães fizeram-me pensar na minha vinha do vale e nas carroças e colinas que no dia seguinte reveria à vontade.
No dia seguinte, em vez, não fomos para além das nogueiras, e a Gosto a avó dele apontava-me como exemplo. Gosto ria. Em minha casa diziam-me que o tomasse como exemplo, só no mundo com a avó, era quase toda a família. Não serve contar agora o que havíamos feito no colégio em Alba. Não me criam. Diziam e dizem que o Gosto é mais homem do que eu. Em minha casa desconhecem o que diz.
Contudo, a ideia do mar veio-me a mim, não a ele. O Gosto não sabe o que seja estar diante de uma casa, e olhá-la até que esta não pareça mais uma casa. O Gosto é tão senhor de si que faz tudo o que lhe dizem, mas ele só por si não chega lá. Ainda agora não quer acreditar quando lhe explico que a estrada não tem fim, como não têem fim as linhas férreas, e de aldeia em aldeia prosseguem enquanto há terra sem que se interrompa nunca. Diz que, se assim fosse, as pessoas não deixariam de caminhar e todos dariam a volta ao mundo. E na nossa estrada passariam continuamente estrangeiros de todos os lugares. «Todas as estradas acabam no mar», dizia-lhe «onde estão os portos. De lá embarca-se para as ilhas, onde as estradas recomeçam.»
Não estava convencido de que para ir ao mar bastasse encaminhar-se. «É necessário conhecer a estrada», dizia. «Mas a estrada é sabida. Segue a que vai para a Piana.» «Será longe?»«Se das Ca' Rosse o teu avô o viu.» «Há quantos anos o viu?»
Um dia fomos à loja do carreteiro que nos gozava por não sabermos andar descalços. Parei na soleira e quase nada vi noa escuridão dos fornos, mas ouvi malhar no ferro e Pietro perguntou-me se ia à escola com o Gosto. Disse-nos que com a nossa idade tinha já atravessado as montanhas para ir trabalhar e que coisa sabíamos fazer nós? Apercebi-me então que nada sabíamos fazer. Naquele momento Pietro tinha deixado de malhar, e Gosto dizia: «Nós nascemos calçados». «Assim é», disse Pietro sem se irritar. «Nascesteis calçados.»
Pensei muito nas palavras de Pietro, e no dia seguinte passaos pela loja para retomar a conversa. Pietro não se tinha afastado da forja e disse-nos que não lhe tapássemos a luz.
Naquele dia contou-nos que em rapaz tinha sido serralheiro e que viajaram ele e o patrão procurando trabalho nos pátios e levando com eles a forja e o carvão. Para passar as montanhas tinham devido usar calçado de corda. Depois tinham trabalhado nas minas de carvão, tão longe que para voltar tinha sido necessário o comboio. enquanto contava dirigiu-se para a porta e olhou para a praça. «E o mar, Pietro, viste-o?» disse-lhe Gosto. Disse-nos então que tinha estado em Marselha e que alí o mar o tinha diante da porta. Olhou para a praça onde caia a sombra da casa e disse: «Como se estivesse aqui na praça. E movimento de dia e de noite. Mais do que no mercado grande». Cuspiu contra o sol e voltou para dentro.
Nós perguntamos-lhe como é a costa mas não sabia ou não percebeu o que queríamos. Disse que sim, que a água é verde e sempre em movimento e que continuamente espuma, mas que nunca dentro dele tinha estado e que não sabia como fosse a terra vista do largo. Contou-nos que os navios são de uma cor entre o vermelho e o negro e que o porto tem um odor como o das estações. Disse que carrega e descarrega mais carvão o porto em um dia do que carros de uvas todas as nossas colinas. E que os marinheiros, os estrangeiros também, se vestem como nós e não pensam que em voltar para casa. «O mar é cansativo», dizia. «É necessário nascer-se descalço.»
Veio o mês de Agosto, entre as primeiras e as segundas colheitas, quando no campo nada mais se faz e o dia dura ainda metade da noite. Sucedia que fosse para a cama quando fora era ainda dia e ouvia no caminho por debaixo do terraço os outros rir e a gente passar. Com qualquer desculpa era mandado para a cama. Se Gosto vinha à minha procura, diziam-lhe que era tarde e que já estava a dormir.

in Férias de Agosto

Sem comentários:

Enviar um comentário